Egregio Sig. Ministro — volutamente con “M” maiuscola — in questi giorni seguendo il suo impegno politico noto un attivismo alquanto marcato in materia di bollette, lavoro, pensioni, sicurezza ed immigrazione e quindi mi dispiace disturbarla con questa mia lettera, già oggetto di vari articoli ed ignorata dai suoi predecessori.
Sono un ex-Capitano di lungo corso ed ex-Ufficiale superiore delle Capitanerie di porto, quindi una vita vissuta in divisa — ancore e stellette — sempre alle dipendenze del Ministero della Marina mercantile sui cui cambiamenti di nome è meglio stendere un velo pietoso.
Le racconto la storia di una cancellazione infame, una sorte tragica e scellerata che l’autorità statale italiana ha riservato per il titolo di capitano di lungo corso. Un titolo glorioso inscritto a caratteri indelebili come un fregio nella storia, nella tradizione e nella cultura della marina italiana. Un emblema che ha accompagnato per oltre un secolo la vita e il lavoro di migliaia di professionisti del mare, uomini che hanno solcato i mari determinando il successo della nostra economia, della nostra industria e che spesso hanno scritto la nostra storia. Uomini come Nino Bixio, che nei giorni gloriosi della campagna per l’unità d’Italia aveva il titolo professionale di capitano di prima classe, o il capitano marittimo Giuseppe Garibaldi, o ancora come l’armatore e patriota genovese Raffaele Rubattino, che fornì prima a Carlo Pisacane e poi all’eroe dei due mondi le navi per le spedizioni nel Mezzogiorno d’Italia, compresa quella storica dei Mille da Quarto a Marsala.
Tutti eroi di una storia, la storia italiana, scritta in larga parte proprio sul mare. La prima comparsa ufficiale dell’espressione capitano di lungo corso avviene agli albori dell’Italia unita, nelle pagine del Codice per la marina mercantile del Regno d’Italia (legge 2215 del 1865 per l’unificazione legislativa del Regno d’Italia). Da allora il termine, già di uso comune nel gergo dei marittimi, diviene espressione certificata oltre che orizzonte di vita per i tanti studenti degli istituti nautici del Paese e tale rimane sino al 30 novembre del 2007, quando un decreto del Ministero dei Trasporti introduce le nuove “Qualifiche e abilitazioni per il settore di coperta e di macchina” in recepimento delle qualifiche introdotte dalla Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi, meglio conosciuta con l’acronimo STCW. In concreto, il bisturi che compie il taglio perpetuo è la circolare numero 17 dello stesso ministero dal titolo “Gente di mare” del 17 dicembre 2008.
Documento in cui si prescrive espressamente che “i titoli professionali di […] Capitano di lungo corso a partire dal primo febbraio 2008 non potranno essere più rilasciati”. ecco che la cancellazione diventa esecutiva. Ragionare sulla scomparsa del titolo di capitano di lungo corso significa fare i conti con l’ignavia e la noncuranza colpevole di chi ha consentito lo sfregio di valori e tradizioni nati per essere intramontabili. Un sentimento che deve conoscere bene chi, dall’oggi al domani, si è ritrovato privo di qualcosa che era molto più di un titolo. Non so cosa avrei provato se, quando ancora navigavo, qualcuno mi avesse detto che il mio titolo di cui andavo e vado tutt’ora fiero fosse stato inopinatamente cancellato. Oltre alla ferita inferta alla memoria e alla tradizione della marina italiana, il prodotto ulteriore e avvilente di questa cancellazione è stato la resa pressoché incondizionata dei marittimi, precipitati e non da ora in un’atmosfera di cupa rassegnazione.
Una resa generalizzata che tuttavia non si limita ai soli titoli e ai simboli della tradizione, ma che ha visto i lavoratori del mare soccombere a nuove normative che li perseguitano, costringendoli a un’incessante maratona ad ostacoli in un labirinto di corsi, abilitazioni e certificazioni, da conseguire o rinnovare, al solo fine di poter continuare a svolgere la propria professione. Fatto sta che invece del tanto auspicato allineamento dell’Italia agli standard internazionali, nei fatti si è determinata una situazione di anarchia e confusione generalizzata, che lascia gli operatori del settore in balia di una spada di Damocle perenne. Senza nulla togliere all’importanza della STCW 78/95 e successive modificazioni, si ritiene che il discorso debba essere ripreso anche perché un conto è un titolo professionale “altra cosa è l’abilitazione e la qualifica a bordo.
In conclusione Sig. Ministro, Le auguro buon lavoro con l’appello ad intervenire presso i suoi collaboratori addetti al settore per reintrodurre i titoli professionali marittimi di cui all’ex articolo 123 del Codice della Navigazione per quanto attiene ai capitani e ai macchinisti significando che il provvedimento in merito può essere perfezionato, alla luce delle attuali norme, con un semplice decreto ministeriale.
Distinti saluti
Nicola Silenti