In Italia il COVID-19 sembra un problema quasi arginato, eppure il problema dei cambi equipaggio non è ancora stato risolto.
Durante l’emergenza, il personale marittimo non si è mai fermato ma – a causa delle restrizioni alla libera circolazione delle persone imposte da molti paesi – ci sono degli equipaggi ancora bloccati a bordo. Basti pensare che ci sono più di duecentomila impiegati bloccati in mare, in tutto il mondo.
Il trasporto marittimo è fondamentale per l'economia globale, oltre a essere straordinariamente importante in merito al rifornimento energetico e di beni di prima necessità. È per questa ragione che ben tredici paesi hanno deciso di agevolare il rimpatrio dei marittimi. Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Indonesia, Paesi Bassi, Norvegia, Filippine, Arabia Saudita, Singapore, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti d’America oggi riconoscono questa categoria di lavoratori come key workers. Inutile specificare che l'Italia non compare nell’elenco.
Sono molti i sindacati che continuano a battersi per ottenere quantomeno un confronto con il Governo sulla questione. Fino ad oggi, però, nessun segno di apertura da parte delle istituzioni. «Stiamo chiedendo un'azione umanitaria rapida e decisa (…) per garantire ai nostri marittimi corridoi di transito sicuro», dice Mario Mattioli, presidente di Confitarma.
Inutile dire che il totale disinteresse dei vertici in merito alla questione marittima comporta dei rischi, primo tra tutti il pericolo che – a causa dello stremo psico-fisico – molti lavoratori potrebbero non essere più in grado di lavorare, in futuro, comportando una grave perdita di personale.