Si discute sull’identità dei porti italiani e la Commissione Europea auspica la trasformazione dei porti in società per azioni.
Ultimamente è in discussione l’identità dei porti italiani. Attualmente la natura giuridica dei porti comporta che questi si preoccupino di svolgere i compiti di governo, programmazione, promozione, disciplina e coordinamento.
Il cambiamento che auspica la Commissione Europea porterebbe alla trasformazione dei porti in vere e proprie società per azioni.
Questo mutamento in imprese comporterebbe l’onere di dover pagare le tasse relative ai canoni demaniali.
Gli addetti del settore si dicono preoccupati dall’ipotesi della privatizzazione. Non credono infatti che questa sia la strada vincente per migliorare lo sviluppo degli scali.
Inoltre si paventa la possibilità di perdere gli “aiuti di stato” che sarebbero necessari per mettere mano alle infrastrutture e migliorare il servizio.
Il fenomeno della privatizzazione preoccupa anche importanti sigle sindacali, timorose che il passaggio totale al privato possa portare nel settore blu, come già successo in altre realtà, a sprechi e inefficienze.
A pagarne le spese, oltre ai lavoratori, sarebbe l’intera comunità.
Attualmente le gestioni portuali sono di fatto già private, ma la regolamentazione e la gestione sono legate al contesto delle Port Authorities. Si tratta di Enti pubblici con finalità non economiche e dunque atte a garantire la corretta gestione.
L’AdSP, Autorità di Sistema Portuale, in Italia, è un ente pubblico che ha come scopo la gestione e l'organizzazione di beni e servizi legati all’ambito portuale.
La privatizzazione dei porti andrebbe a compromettere la funzione dell’AdSP.
Zeno D’Agostino, Presidente a capo dei porti di Triste e Monfalcone, ha dichiarato a tal riguardo che non occorre privatizzare completamente i porti, ma basterebbe snellire le norme per alleggerire il quadro e favorire la capacità di azione.