Il registro internazionale italiano compie 20 anni nel 2018 e ha avuto il merito di far crescere flotta e occupazione in Italia. Ma un decreto legislativo che dovrebbe entrare in vigore a partire da giugno, modificando alcune regole stabilite nel Registro con l’obiettivo dichiarato di incrementare ulteriormente il lavoro dei marittimi italiani, rischia invece di produrre l’effetto contrario. E di aumentare i costi per gli armatori che battono la bandiera tricolore, al punto da spingerli a portare le navi sotto bandiere di comodo o di Paesi Ue che applicano regole più flessibili.
Un’azione che avrebbe la conseguenza di aprire alla possibilità, attualmente esclusa proprio dall’iscrizione al Registro, che su navi di armatori italiani si imarchino equipaggi composti esclusivamente da marittimi extracomunitari /oggi previsto pro-quota), mettendo a rischio il lavoro, secondo i sindacati, di circa 2mila lavoratori italiani (o comunitari).
La Nascita del Registro
Per comprendere quel che sta accadendo occorre ricostruire la storia del Registro internazionale istituito con la legge 30/98, nel quadro degli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi. L’obiettivo era arrestare il declino della flotta e dell’occupazione comunitaria nel comparto marittimo, derivante dalla forte concorrenza delle bandiere di convenienza. Gli orientamenti Ue prevedono la possibilità di compensare i maggiori costi del lavoro marittimo comunitario con l’abbattimento, anche totale, degli oneri fiscali e sociali e la possibilità di ridurre, fino ad azzerare, il carico fiscale delle imprese attraverso regimi di tassazione agevolati, quale ad esempio la Tonnage tax (introdotta in Italia nel 2003, che consente la determinazione forfettaria del reddito armatoriale ai fini Ires parametrata al tonnellaggio della nave)... LEGGI TUTTO