La Corte di cassazione si è pronunciata sulla risarcibilità dei danni per patologie amianto-correlate, con la sentenza 19270/2017. La sentenza afferma che vi è responsabilità del datore di lavoro ogni volta che risulti, in base al principio “del più probabile che non”, che l’insorgenza della malattia sia dovuta all’esposizione ad amianto sul luogo di lavoro (e, nel caso specifico, ad altri agenti chimici impiegati per la lavorazione del vetro), anche nel caso di eventuali concause, come il fumo di sigaretta o pregresse patologie polmonari del dipendente trattate con farmaci sospetti cancerogeni.
Due le società che hanno fatto ricorso e da cui la sentenza trae origine. Le società si sono succedute nel tempo nella titolarità dello stabilimento produttivo presso cui il dipendente, deceduto al momento della sentenza, ha lavorato per oltre 25 anni. La condanna, per entrambe, è il risarcimento dei danni agli eredi.
Avendo i giudici di merito ragionato in termini di “elevata probabilità logica”, le società che hanno fatto ricorso lamentavano la mancata applicazione del cosiddetto metodo scientifico nel valutare l’esistenza di un nesso di causa, piuttosto che affidarsi alla “probabilità statistica”.
Tuttavia la cassazione ha affermato che, in caso le leggi scientifiche non consentano un’assoluta certezza della derivazione causale, la regola di giudizio deve essere quella della preponderanza dell’evidenza o criterio “del più probabile che non”, che va verificato non in base a una probabilità solo statistico quantitativa dell’evento quanto in ragione di una probabilità logica, “riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto”
Essendo stati provati il costante uso, sul lavoro, di ben due agenti patogeni (amianto e un altro) e la loro idoneità a causare l’insorgenza della malattia, e la mancata adozione delle cautele all’epoca note, quali aspiratori e specifiche operazioni di pulizia delle polveri, la corte ha concluso approvando l’accertamento dei giudici di merito circa la sussistenza della responsabilità dei datori, non reputando decisiva la presenza di possibili altre cause.
Secondo la corte inoltre, essendo sufficiente la prevedibilità di un “generico verificarsi di un danno alla salute del lavorante” non era necessario che i datori potessero prevedere l’insorgere della malattia. La pericolosità dell’amianto e i rischi derivanti dalla formazione e diffusione da polveri era nota dal 1956, nonostante l’amianto sia stato vietato solo nei primi anni 90.