Collegio Nazionale Capitani

Foglio telematico a cura di Decio Lucano 26 /05 parte 2

Articolo di giovedì 28 maggio 2015



Collegio Capitani

Apice e declino dei velieri mercantili italiani
La storia  del veliero in ferro Sardomene prima nave mercantile italiana affondata durante la grande guerra
di
Marcella Rossi Patrone



Irlanda, Baia di Bantry, 1° luglio 1915: nel silenzio notturno un sommergibile tedesco U-24 silura il veliero Sardomene, un lento “carrier” dal capiente scafo in ferro. “…all'improvviso il sommergibile si voltò, lanciando un siluro verso di noi. Non era neppure il caso di evitarlo: il veliero era impotente a manovrare e poi la distanza era cosi breve che si può dire che avemmo appena il tempo di vedere in acqua il siluro che già esso ci colpiva giusto al centro... La scossa sembrò sollevare la nostra nave fuori dall'acqua. L'esplosione fu terribile: abbatté di colpo gli alberi, le vele, le sartie, spogliò per cosi dire il veliero…” raccontò allora un superstite.

Fu questa la prima nave mercantile italiana ad essere affondata durante la Grande Guerra. Era stata acquistata l’anno prima in Inghilterra dall’armatore camogliese Giuseppe Mortola ed era partita da Genova per l'Australia occidentale doppiando il Capo di Buona Speranza, per ritornare in Europa doppiando il Capo Horn. Costruita dagli inglesi nel 1882 per sostenere le grandi rotte oceaniche, a cent’anni dal suo siluramento simboleggia oggi la fine della navigazione a vela.

Nella seconda metà dell’Ottocento le navi a vapore, penalizzate sulle lunghe distanze dai rifornimenti di carbone e dalle inevitabili riparazioni, non sostituirono certo i velieri, ma l’innovazione tecnologica spinse i cantieri inglesi a decisivi cambiamenti. In un primo momento furono costruiti scafi compositi con ossatura in ferro e fasciame in legno, poi si

decise di sostituire gli scafi in legno con capaci scafi in ferro dalla carena appiattita, attrezzati con alberi, pennoni e macchinari vari. Un innovativo sistema di manovra riduceva poi il numero dei marinai.

Così, nonostante l’apertura del Canale di Suez nel 1869, per oltre quarant’anni i “carrier” fecero il giro del mondo con le stive cariche di merci, dall’Europa verso gli Stati Uniti, il Sud America, l’India, l’Estremo Oriente, l’Australia, la Nuova Zelanda. Le navi non si limitavano più a ripercorre rotte secolari, ma ne potevano affrontare con sicurezza di nuove, grazie agli studi pubblicati nel 1858 dall’oceanografo statunitense Matthew Fontaine Maury: “Explanations and Sailing Directions to Accompany the Wind and Current Charts”. Come sovraintendente agli archivi della marina il Maury aveva infatti studiato le informazioni dei registri, dei libri di bordo e delle carte nautiche, in relazione ai venti, alle correnti ed alle condizioni atmosferiche, ideando un atlante per la navigazione nei vari periodi dell’anno, tanto importante da essere utilizzato fino al secolo scorso.

Attraverso inevitabili trasformazioni, il progresso scientifico e tecnologico estese le relazioni economiche, produsse emigrazione transoceanica, ridisegnò i traffici internazionali e valorizzò i centri marittimi. In Italia si rafforzò la vocazione al mare, favorita dalla geografia, dall’esperienza e dalla competenza ereditata nella navigazione a vela. Una flotta mercantile di velieri di lungo corso si affermò proprio nel passaggio al vapore, soprattutto grazie agli armatori liguri e campani. All’ascesa della vela italiana ne corrispose la maturità e ne seguì rapidamente il declino, perché rapidamente migliorarono le prestazioni dei piroscafi, sottoposti a continui studi di perfezionamento.

Nell’ottobre del 1880 a Camogli si tenne il Congresso degli Armatori Italiani, molto preoccupati per la decadenza della Marina Mercantile, gravata dalle tassazioni ed incapace di sostenere la concorrenza straniera. Emersero allora due richieste prioritarie allo Stato italiano: lo sgravio fiscale ed il sostegno della navigazione a vela. Due mesi prima un’iniziativa parlamentare di Paolo Boselli aveva proposto l’ “Inchiesta sulle presenti condizioni della marina mercantile” per comprendere la situazione del mondo cantieristico e armatoriale, così da predisporre gli opportuni interventi. Nel 1881 si costituì così la commissione parlamentare d’inchiesta Boselli, che tra lavori e discussioni portò alla legge del 6 dicembre 1885 sulla marina mercantile italiana, nella quale venivano concessi compensi di costruzione e premi di navigazione tanto per il naviglio a vela che per quello a vapore.

Grazie ai provvedimenti legislativi la flotta velica italiana ricevette un sostanzioso aiuto economico e restò un importante settore legato alla tradizione dei borghi marinari, in grado di sostenere un significativo numero di persone e di alimentare un indotto ben strutturato. Ma stavano cambiando le navi, i mercati ed i mestieri del mare. 

Nei cantieri italiani i maestri d’ascia lavoravano seguendo più la pratica che i piani costruttivi e la marina mercantile era ancora un’istituzione familiare. L’attività andò avanti con evidenti segni di arretratezza, incapace di affrontare le incombenze della seconda rivoluzione industriale, che aveva affermato la cantieristica britannica in metallo. L’utilizzo delle linee ferroviarie stava eliminando il traffico di cabotaggio e la navigazione d’altura reclamò velieri di grosso tonnellaggio, cosicché gli armatori cominciarono ad acquistare all’estero i bastimenti a palo con scafo in ferro. Nel 1904 su un totale di 2.512 bastimenti 1.096 erano ancora a vela (Registro Italiano Navale). Fra il 1885 e il 1914 Giuseppe Mortola di Camogli, l’armatore del citato Sardomene, fece navigare 42 bastimenti, passando dagli scafi in legno a quelli in ferro. Evidentemente la marineria velica era ancora rilevante per navi e tonnellaggio, nonostante le si contrapponessero grandi società di navigazione a vapore.

Proprio negli stessi anni, le potenze industrializzate entrarono in competizione militare per il controllo delle rotte marittime ed avviarono la cosiddetta politica della flotta. Facile comprendere come il controllo sul mare significasse potere reale, ovvero dominio dei mercati internazionali ed esportazione della propria cultura. Nel 1890 l’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan pubblicò “The Influence of Sea Power upon History”, raggiugendo tutte le nazioni con l’idea del “navalismo”, che potremmo semplicemente definire una politica espansionistica sul mare ottenuta con lo sviluppo della flotta militare e mercantile.

Strategia politica e superiorità marittima andarono a nozze. La Gran Bretagna deteneva allora l’autocrazia navale e con essa si confrontarono le grandi nazioni, in particolare la Germania e la sua dinamica potenza industriale. Tra il 1898 ed il 1912 Alfred von Tirpitz, segretario di Stato per la Marina Imperiale Tedesca, creò una flotta da guerra in grado di fronteggiare la superiorità britannica. Lo stratega Tirpitz aveva concepito una “teoria del rischio” per cui gli inglesi, secondo il principio “ fleet in being”, avrebbero cercato di evitare il confronto con una poderosa flotta tedesca, per non rischiare di perdere privilegi e impero. Tutte le nazioni si stavano volgendo a potenziare le flotte militari, Italia compresa, dove un gruppo eccellente di progettisti lavorò per la Regia Marina realizzando corazzate ed incrociatori d’avanguardia. 

Un’ulteriore minaccia per i velieri di lungo corso sarebbe stata l’apertura del canale di Panama, ma lo scoppio della Prima Guerra Mondiale non ne permise l’inaugurazione. Il declino della vela mercantile coincise proprio con la guerra, passando attraverso l’industrializzazione, la tecnologia e la creazione di armi micidiali . Una di queste fu una nuova nave armata di siluri e capace di immergersi in occasione di aggressione bellica: il sommergibile, in tedesco Unterseeboot o U-Boot. All’inizio del conflitto i tedeschi, colpiti dall’embargo, sostennero una guerra commerciale sottomarina indiscriminata ed in questo contesto il Sardomene fu silurato da un U-24.

Nel frattempo l’industrializzazione aveva provocato in Inghilterra la nascita del turismo moderno e degli sport nautici, creando un nuovo rapporto con il mare e la vela. Nel 1858, a Belgirate sul Lago di Como, era nato il primo circolo velico italiano e si era successivamente diffusa la vela da diporto negli ambienti più ricchi; nel 1892 era stata fondato a Torino il quindicinale “Rivista nautica”, pubblicazione illustrata di marina militare, marina mercantile, yachting, rowing; nel 1913 era nata a Genova l'Unione Nazionale della Marina da Diporto. Mentre si chiudeva un’epoca, se ne apriva un’altra.

Fonti bibliografiche

Autori Vari, “Navi e marinai - Uomini e avventure dell’Italia sul mare, Rizzoli. Milano,1979. Frascani Paolo (a cura di) A vela e a vapore: economie, culture e istituzioni del mare nell'Italia dell’Ottocento, Donzelli editore, Roma, 2001. Gardini Francesco (a cura di), Atti del Congresso degli Armatori Italiani in Camogli , tipografia Gio, Sambolino, Genova, 1880.  Lee Lewis Charles, Matthew Fontaine Maury: the pathfinder of the seas, Annapolis, The Unites States Naval Institute, 1927 Serafini Flavio, Uomini e bastimenti italiani di Capo Horn, Edizizioni Gribaudo, Verona, 2004. Splinder Arno, La guerra al commercio con i sommergibili - 1914/1918, Istituto poligrafico dello Stato, Roma, 1936

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  NOTE DI VIAGGIO

Dalla Liguria per fare vela verso le coste del Portogallo, della Francia, dell'Argentina

EVENTI

SAVONA,ANTICO TEATRO SACCO Via Quarda Superiore 1 – www.teatrosacco.com ;  www.elegantidoctrinae.com

Venerdì 29 maggio 2015 - ore 21,00

Ingresso riservato ai soci (tessera € 10) – Prenotazioni e info 3317739633 o 3286575729

Note di Viaggio”

Un invito al Viaggio sotto gli auspici di Ermes, il dio greco che protegge chi viaggia lontano. La Liguria è terra di Naviganti: un Ensemble di Artisti liguri presenta un reading musicale e coreutico sulle rotte del varazzino Lanzerotto Malocello, dei genovesi Antoniotto Usodimare e Benedetto Zaccaria, e del savonese Leon Pancaldo. Descriveremo i luoghi dei nostri Naviganti liguri attraverso la poesia, la danza e la musica nate e sviluppatesi nelle terre da loro visitate. NOTE DI VIAGGIO partirà dalla Liguria per fare vela verso le coste del Portogallo, della Francia, dell'Argentina.

Ensemble Ermes

Claudia Pastorino, voce cantante - Anna Maria Caminada, voce recitante

Tullio Gardini, testi dei naviganti – Antonio Carlucci, voce dei naviganti

Fabrizio Giudice, chitarra e chitarra arpa - Fabio Vernizzi, pianoforte – Claudio Di Romualdo, bandoneon

Monika Gi e Pasquale Bloise, ballerini di Tango Ialo Cardente, tecnico luci – Pedro Soldana, fonico

Al termine dell'evento il Teatro Sacco è lieto di offrire un brindisi a tutti i partecipanti

LE  NOTE DI CARLA MANGINI

Sono sempre rimasta  affascinata dalle polene che considero strane creature, capaci di affrontare impassibili  le più terribili tempeste. A differenza di molti,vedo nella loro  fissità  l'espressione di un insondabile mistero.

POLENE

La polena Atalanta fu ritrovata nel 1864 dalla fregata  italiana  “Veloce”in pieno oceano Atlantico e non si seppe mai quale potesse essere stata la sorte della nave alla  quale era appartenuta. Un alone di mistero la avvolse da allora. La scultura rappresenta una donna con la capigliatura fluente, con un seno scoperto, vestita di un peplo che solleva lievemente: si dice  che ancora oggi abbia un grande potere di seduzione.

Si narra che nel 1924, il custode del  sito dove era collocata se ne fosse innamorato a tal punto da suicidarsi, sapendo che non avrebbe mai potuto essere corrisposto.

Come narrarono anche le cronache, venti anni dopo, nel 1944, un  ufficiale tedesco  andò  più volte ad ammirarla e se ne innamorò  tanto da sottrarla per  portarla  nella sua casa. Dei commilitoni lo trovarono  senza vita ai piedi della polena. In un biglietto aveva scritto che si era dato la morte per lei. E’ custodita nel Museo  Tecnico Navale di  La Spezia.

Dal profano al sacro.  Presso la chiesa di San Carlo in via Balbi a Genova, sull’altare  maggiore, fa mostra di sé una Madonna- polena rinvenuta nel settecento in porto dopo una furiosa tempesta che affondò parecchie navi. Custodita  prima in casa Lomellini, le furono poi attribuiti molti miracoli e per questo motivo, con una sontuosa  cerimonia, fu collocata  nel sito dove si trova ora. E’ una scultura lignea straordinaria perché, mentre  è ben visibile la sua  struttura originaria che è semplice, stilizzata, di una certa rigidità, riesce nel contempo ad  esprimere la sua dolcezza di Madre Misericordiosa.

F I N E


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