Il segretario generale dell'International Maritime Organization (IMO),
Kitack Lim (nella foto), ha scritto agli alti funzionari europei
esprimendo preoccupazione per la proposta di includere anche il
trasporto marittimo nell'Emission Trading System (ETS) Ue
di Paolo Bosso
un sistema di riduzione delle emissioni basato da un lato sullo scambio dei “crediti di carbonio”, dall'altro su incentivi economici alle aziende che inquinano meno (un video dell'Ue che spiega come funziona).
Lim ha scritto ai presidenti del Parlamento europeo Martin Schulz, della Commissione europea Jean-Claude Juncker, e del Consiglio Ue Donald Tusk. «La decisione di includere lo shipping nel'ETS – si legge nella missiva – avrebbe un serio impatto sul lavoro dell'IMO per ridurre le emissioni di gas serra nel trasporto marittimo, rischiando di minare significativamente gli sforzi fatti».
L'idea di includere anche lo shipping nell'ETS risale al 16 dicembre scorso, sulla base di una relazione che la Commissione Ambiente Ue ha presentato al Parlamento europeo chiedendo di inserire anche lo shipping nell'ETS a partire dal 2023 se l'IMO non avrebbe avviato un piano globale di riduzione delle emissioni entro il 2021. Già allora l'associazione europea degli armatori (ECSA) protestava contro questa proposta contestando una sorta di “violazione della sovranità” in quanto c'è già l'IMO a regolamentare le emissioni navali e un'accavallamento dei regolamenti avrebbe messo a rischio la stessa tabella di marcia dell'organismo ONU sulla regolamentazione delle emissioni, che giusto un mese prima si era allineata agli Accordi di Parigi introducendo strette sulle emissioni di zolfo a partire dal 2020. Ad ottobre dell'anno scorso l'IMO ha adottato un sistema di raccolta dati sui consumi di carburante da parte delle navi. Inizia quest'anno ma non terminerà prima del 2023. Tutte queste misure, precisa Lim, sono concordate con tutti i 170 Paesi membri dell'IMO, tanti e difficili da mettere d'accordo, cosa che dimostra «non soltanto la leadership ed il ruolo dell'IMO» sulla materia ma anche che l'organismo dell'ONU «è l'unico competente» per lo shipping.
Due pesi e due misure, necessariamente
In sostanza, il problema evidenziato dall'IMO è che le navi, toccando tutti i porti del mondo e viaggiando in giurisdizioni e regolamentazioni ambientali differenti, hanno bisogno di una forma di governo sovranazionale, l'IMO appunto. Lasciare che sia anche l'Europa a legiferare sulla materia, obbligando quindi le navi a rispettare determinati limiti alle emissioni una volta entrate nelle acque territoriali europee, non comporta soltanto una violazione di principio, una grave sovrapposizione di norme, ma anche una certa confusione: è come se si chiedesse a una nave di cambiare motore prima di sbarcare in un porto dell'Unione europea.
L'IMO è troppo lenta?
Lim porta a esempio la XXI Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (COP21), tenutasi tra novembre e dicembre 2015, in cui si è stabilito di contenere l'aumento della temperatura media del pianeta non oltre gli 1,5 gradi centigradi. Tali impegni comuni tra i Paesi partecipanti si basano sulla riduzione graduale delle emissioni ma non includono lo shipping proprio per la sua natura globale, intersovrana. Lim sottolinea che il lavoro della sua associazione consiste anche nell'allinearsi a queste decisioni, cosa che ha fatto circa un anno dopo nell'ultimo Marine Environment Protection Committee (MEPC) all'inizio di novembre dell'anno scorso, in cui si è stabilita una significativa riduzione del tenore di zolfo nel combustibile marittimo. Il prossimo MEPC continuerà a discutere sulla questione nella riunione del 26-30 giugno.
C'è però chi contesta all'IMO un'eccessiva lentezza. Il sistema di raccolta dati sui consumi delle navi (quello che terminerà nel 2023) è partito con un ritardo considerevole rispetto ad altri settori industriali che sono già alle prese con un drastico taglio delle emissioni, mentre lo shipping sta ancora cercando di capire quanto inquina. Inoltre l'allineamento dell'IMO agli Accordi di Parigi è avvenuto ben un anno dopo la chiusura della Conferenza. Infine, la riduzione progressiva del tenore di zolfo procede a scaglioni separati da troppi anni, sotto la pressione del cluster armatoriale che chiede sempre tanto tempo per adeguare le proprie navi, dovendo andare incontro a investimenti ingenti su un asset (la nave) dal valore di milioni di dollari. La richiesta della Commissione Ambiente dell'Ue arriva quindi come una provocazione per spingere l'IMO a darsi una mossa.
Come funziona l'ETS
L'ETS è nato nel 2005, anno in cui è stato fissato un tetto alle quantità di gas serra che le aziende operanti nell'Unione europea possono emettere ogni anno. Queste hanno a disposizione un vero e proprio mercato delle quote di carbonio basato sulle aste. Le aziende che hanno chiuso l'anno al di sotto della soglia ETC guadagnano “crediti di carbonio” che possono scegliere di conservare o vendere al mercato delle aste. Qui è possibile acquistare “pacchetti di emissioni” che innalzano temporaneamente il limite massimo di queste ultime, evitando di incorrere in multe salate. Parallelamente a incentivi economici per chi inquina meno, il sistema, secondo gli scopi fissati dall'Ue, dovrebbe spingere verso una riduzione progressiva generale dell'inquinamento in quanto è basato sul principio chi più inquina più paga: volendo anche vivere di quote carbonio per evitare di incorrere in sanzioni, il gioco non vale la candela. Attualmente l'ETS copre il 50 per cento delle emissioni prodotte dall'Unione europea e più di tre quarti del mercato internazionale dei crediti di carbonio.