Collegio Nazionale Capitani

Foglio telematico a cura di Decio Lucano 8 giugno 2015

Articolo di mercoledì 10 giugno 2015



Collegio Capitani

DL NEWS
Foglio telematico a cura di Decio Lucano  8 giugno 2015
Basta vedere,  non è essenziale leggere



Ho ricevuto il Notiziario on-line CSTN , mensile edito dal Centro Studi Tradizioni Nautiche – Lega Navale Italiana Sezione di Napoli , anno IV n. 34, www.cstn.it . E' una vera e propria rivista cui collaborano fior di studiosi. Quando la si “ apre “ sembra di sfogliare sullo schermo pagine vere con articoli e fotografie, una rivista stampata, da tenere sul comodino e leggere con calma . E' un magazine on line o, se volete, una rivista on line come altre , anche tecniche, molto valide, e sono oramai tante, che appartengono alla cultura digitale dove basta “vedere” e non è essenziale “leggere”, fatte per risparmiare sui costi, (Lasciamo fuori i professionisti che hanno necessità di avere dati e informazioni in tempo reale ). Peccato, il libro, la carta stampata, creano  indipendenza, diffondono la vera cultura da assaporare, metabolizzare , amare senza fretta. (DL)

Quei “ pesci” che chiedono il ministero della marina mercantile

È stato  nominato in U.K il nuovo shipping minister , è mr. Robert Goodwill, coordinerà un settore che nel Regno Unito vale oltre 10 miliardi di sterline compresi i porti e i servizi industriali, circa 500mila impiegati tra diretti e indotto. Avrà i suoi problemi perchè anche nell'isola di Albione il settore mare è in crisi e ha bisogno di un rilancio indispensabile per la sua economia.
Quasi contemporaneamente all'assemblea annuale della Federagenti tenutasi a Lerici, gli esponenti di una categoria vitale nella catena dello shippping hanno sparato a pallettoni contro la BUROCRAZIA italiana, vero cancro del sistema produttivo del nostro Paese.
Ma, ed è questa la novità, gli agenti fanno un distinguo. La burocrazia di una volta – affermano- era diretta da persone capaci e autorevoli espressione di un  Ministero della Marina Mercantile che, pur nella pletora di competenze, unificava le funzioni che ora il piano della logistica e dei porti – scrive in forMare – vorrebbe ri-attribuire a una super sezione del Ministero dei Trasporti. Cioè la burocrazia della duplicazione delle funzioni fra più di venti amministrazioni  a cui sono delegati i controlli sulla merce e sulla nave in porto.
Ma allora non sono “ pesci “    quelli come noi che sosteniamo ( anche per la formazione e il lavoro sul mare ) il ripristino del dicastero della Marina mercantile ! (DL )

Dimenticato il ruolo dei mercantili italiani nell'assistenza ai profughi

Il fulcro dell’economia marittima è la navigazione mercantile, con l’insieme delle attività ad essa dedicate: l’industria armatoriale, quella portuale con tutte le funzioni ad essa legate e quella cantieristica. La produzione annua della navigazione mercantile è oggi superiore a 22 miliardi di euro, con un’occupazione diretta di 86mila addetti e di altri 160mila nell’indotto.
Ma il contributo della navigazione mercantile non è solo economico.
E’ ormai noto a tutti il grande impegno profuso dalle navi mercantili nel soccorso dei profughi nelle acque del Mediterraneo. Nel 2014 oltre 170mila persone sono state soccorse in mare, di cui oltre la metà nell’ambito della specifica missione della nostra Marina Militare. Le restanti 80mila persone sono state invece soccorse grazie all’attività del centro nazionale di coordinamento del soccorso in mare gestito dalla nostra Guardia Costiera. Per mezzo di tale attività, 40mila persone sono state salvate direttamente dalle unità militari, e altre 42mila grazie al concorso dei mercantili in navigazione, chiamati al soccorso secondo le disposizioni internazionali in vigore. Sono state coinvolte nelle attività di ricerca e soccorso quasi 882 navi e, di queste, circa 254 sono state impiegate direttamente per l’effettivo recupero dei profughi in mare. Più della metà delle navi impegnate nei soccorsi, anche a seguito di importanti deviazioni, sono unità battenti bandiera italiana.
(Da un  intervento di Paolo D'amico, pres. Federmare)

I porti franchi appetìti da tutti e i record modesti del traffico container

Trieste e Venezia sgomitano per ottenere spazi dedicati al porto franco. Hanno ragione da vendere , ma l'autorizzazione alla loro gestione deve arrivare dal Ministero dei Trasporti in base a valutazioni economiche e giuridiche. I porti franchi sono appetìti in tutto il mondo, Cina compresa . Intanto le merci in container che transitano nel Mediterraneo , quelle che si fermano nei porti di transhipment, o scali che movimentano i cassoni  avendo industrie o entroterra che li richiamano, o i volumi delle merci trasportate dalle navi nel nostro Mare Nostrum sono cresciuti negli ultimi 13 anni  del 123 per cento . Gli ultimi tempi , a parte lo scandalo degli sbarchi milionari dei profughi dalla Libia, segnalano un incremento di porti “hub” container da Med Tanger all'Egitto, dalla Grecia al Mar Nero e così via con numeri di 4/5 milioni di cassoni movimentati... E i terminal sono in crescita. Noi , e meno male, con Genova giubiliamo per un incremento ai nostri 2 milioni di container, e abbiamo davanti opere straordinarie che impiegheranno decine di anni  per completarle . Accontentiamoci , in attesa dei piani nazionali …  ( DL )





APICE E DECLINO DEI VELIERI MERCANTILI ITALIANI
   
SARDOMENE:  CENTENARIO DEL SUO AFFONDAMENT0

Quando c'era la vela a fare i traffici e gli armatori dagli scagni gestivano e comunicavano con  le loro navi in tutto il mondo quasi in tempo reale . Era la “rete” dei velieri in legno e in ferro, mondo gia' globalizzato e forse piu' piccolo perche' spazio e tempo sono due valori relativi.
Un appassionato studio con utili e attuali commenti e incontri di Tobia Costagliola che prende lo spunto dalla storia del “ Sardomene” di Marcella Rossi Patrone pubblicata nel nostro foglio telematico il 26 maggio 2015.

La storia è scritta dagli uomini con il loro pensiero,
le loro azioni, la loro vita e, troppo spesso, con la loro morte.
A noi posteri il dovere ed il privilegio di tramandarne la memoria

Spesse volte inoltro le DL News ai miei amici. Questa volta ho inviato la  15 DL News 2015 al mio amico Dott. Vittorio Emanuele Bozzo di “San Rocco sopra Camogli”. Vittorio Bozzo, nipote di quel Cap. Vittorio Emanuele Bozzo, cognato e socio del “Sanrocchin” Cap.Giuseppe Mortola, mi ha inviato il messaggio che riporto qui di seguito.

Ciao Tobia
leggendo la prima pagina di DL News mi sono accorto che parlano del SARDOMENE ,
che era della flotta Bozzo-Mortola ( mio nonno ed il socio ).
Tra l'altro questo veliero è famoso perchè ha dato origine alla prima
giornata lavorativa di 8 ore nei porti australiani.
In Australia i sindacati del porto avevano fatto un lungo sciopero per
ottenere la giornata lavorativa di 8 ore ed avevano bloccato le operazioni
con il veliero SARDOMENE.
Da quel momento le insegne dei sindacati avevano la figura del Sardomene
nei loro simboli.
Come è piccolo il mondo !
Grazie ancora per l'invio della mail
Vittorio

Non me ne vorrà la Dott.ssa Marcella Rossi Patrone se prendo spunto anche da quanto da lei egregiamente scritto, in un contesto più ampio, sull’affondamento del SARDOMENE (Apice e declino dei velieri mercantili italiani).
In realtà, di questa nave è stato già scritto tanto ed io, senza nulla aggiungere, voglio “far memoria” della sua storia e dei suoi armatori, nell’occasione della imminente ricorrenza del centenario del suo affondamento ad opera di un sommergibile tedesco, il 1° luglio del 1915.
Quanto segue l’ho attinto liberamente da quanto già scritto dal Cap. Gio Bono Ferrari, Prof.Tommaso Gropallo, Cap. Pro Schiaffino, Dufeil Yves (Kaiserliche Marine).
Prima di scrivere del SARDOMENE è  doveroso ricordare i suoi armatori :  Capitan Giuseppe Mortola detto Sanrocchin e Capitan Vittorio Emanuele Bozzo, Vittorin, detto Torrixan.  Qui di seguito riporto uno stralcio della storia del Sanrocchin così come descritta dal Prof. Gropallo nel Romanzo della Vela, Ed. Mursia 1973.
Per la storia del Torrixan ho attinto a Gli Armatori di San Rocco di Camogli , Quaderno n.13 del Museo Marinaro Gio Bono Ferrari di Camogli, a cura di Pro Schiaffino. L’interessante e splendido quaderno fu scritto da Pro Schiaffino, nel 2005, per ricordare affettuosamente Ela Bozzo, discendente del casato Torrixan e sorella di Vittorio, preziosa collaboratrice del Museo, prematuramente mancata.



Il celebre <Sanrocchin>

L’anno 1890 ebbe inizio in Camogli l’attività di colui che doveva diventare il maggior armatore velico italiano. Fu questi il Capitan Giuseppe Mortola della frazione di San Rocco sopra Camogli.
Divenne celebre con il soprannome di Sanrocchin e con lui ebbe notorietà suo cognato e socio Capitan Vittorio Emanuele Bozzo pure di San Rocco di Camogli.
La storia del Sanrocchin per quasi metà della sua vita non molto differiva da quella di tanti giovani. Nacque in san Rocco l’anno 1852 da padron Gio.Batta e da Giovanna Bozzo e venne subito al mare nei viaggi della Maremma ove molti piccoli velieri caricavano carbone di legna per Genova ed altri porti del Tirreno. Mozzo e quindi giovanotto su tali barchi non vi trovò la vita facile. Incappò in un <padrone a comando> duro ed avaro che negava alla sua gente anche il più breve permesso al punto tale che il giovinetto Mortola, perduta la pazienza, ebbe l’ardire di disertare, gettandosi in acqua dal veliero ancorato davanti a Talamone. Un leggero fardello di abiti e scarpe legato sul capo egli nuotò sino a terra e quindi, rivestitosi, prese diligenza per Camogli. Questo dipinge il carattere dell’uomo.
Dopodichè normale navigazione e studi: Marinaio ed allievo, poi Scrivano ed infine Capitano di Lungo Corso.
A comando navigò per dieci anni un po’ dovunque in Atlantico ed in Pacifico, senza però che gli bastasse l’avere raggiunto il comando, l’apice della carriera del mare. Qualcosa di più egli voleva e intravedeva…
E fu così che il Capitano Giuseppe Mortola assume il comando di un brigantino a palo NOSTRA SIGNORA DEL SACRO CUORE, la cui maggioranza di carati egli aveva potuto acquistare con molto sacrificio. (Il Dott.V.Bozzo mi ha riportato un aneddoto trasmesso verbalmente dai suoi avi: le condizioni del bastimento erano talmente precarie che alcuni marinai aggiunsero al nome  la parola “AIUTACI!” Successivamente il bastimento fu riportato ad uno standard più accettabil ). Eccolo dunque Capitano-armatore e non più soltanto Capitano. Ma ancora qualcosa di più voleva: essere armatore e proprietario di molti bastimenti. Nell’estate del 1890 arrivando a Marsiglia da una campagna alle Antille, decise di sbarcare per sempre e di darsi all’armamento, acquistando bastimenti di una certa età e con la sua accortezza farli navigare e rendere. E così doveva essere.
In un primo periodo ebbe una numerosa flotta di bastimenti a scafo in legno alcuni dei quali di costruzione estera e che in ordine furono GIAN BATTISTA PADRE, RICONOSCENZA, SAN RAFFAELE, NOSTRA SIGNORA DEL MONTE, MARIA MADRE, GIUSEPPE PADRE, LUIGINA, VERMONT, INDUS, TORRENS, PAOLO ANGELO, DILBHUR, CORONA, ELISE, QUINTO, DUE CUGINI ed infine CALDERA.
Con la costante tenacia propria di un accorto armatore ligure l’attività del Sanrocchin andò sempre aumentando e il suo nome divenne molto noto in Italia e all’estero. Calmo padrone di sé il Sanrocchin non aveva né “scagno” né impiegati. Egli faceva tutto da sé: noli e contabilità e soltanto per la parte concernente l’armamento era coadiuvato come dicemmo dal cognato capitan Vittorio Emanuele Bozzo, cui era unito da vincoli affettivi tanto che uno dei suoi velieri in ferro ricevette il nome di COGNATI.
Si reputa che i soci Mortola-Bozzo  abbiano armato e gestito ben 42 bastimenti sia in legno che in ferro.
Il Sanrocchin era anche molto regolare e metodico. Ogni giorno si recava a Genova e quindi, ad una data ora, scendeva l’erta invero assai rapida da san Rocco a Camogli ove avrebbe preso il treno per Genova. Così per anni ed anni. Egli poi appariva in Banchi ed in porto con le tasche sempre piene di taccuini, note, documenti, testimonianza della sua operosità.
Egli visse nella casa natia di San Rocco, meravigliosamente situata alla vista del Golfo Paradiso e questa casa cui tanto era affezionato, perché degli avi suoi, egli migliorò ed alzò di due piani.
In seguito, in unione con il cognato Bozzo, costruì l’ampio palazzotto lì vicino ove visse l’ultima parte della sua vita e dove oggi si conserva e si onora la memoria.
Nel 1915 il Sanrocchin disponeva ancora di una discreta flotta, ma i sommergibili gliela falcidiarono. Le unità superstiti furono vendute man mano. Il Sanrocchin ritiratosi dagli affari, visse in San Rocco ove si spense il 23 settembre 1925 in età di 74 anni.

Il celebre <Torrixan>

Gio Bono Ferrari nel suo libro Capitani di Mare e Bastimenti di Liguria ne traccia questo magnifico ritratto:
< Questo benemerito camogliese era nato a san Rocco di Camogli nel 1861. Imbarcato sul Brigantino del capitano Olivari all’età di nove anni, nel 1870 aveva già doppiato capo Horn per una traversata alle isole del guano. Quindi breve sosta a casa, ogni due anni, perché i viaggi erano allora assai lunghi.
Lenta trafila dei gradi marinareschi: garzonetto, mozzo, marinaio. A diciannove anni, durante un viaggio di Rangoon, il suo nostromo, “Scerron” della Fravega (che è la località in basso lambita dal torrente Gentile, sopra il ponte di Cò), rimasto ferito dalla caduta di un pennone, gli consengnava il fischietto d’argento che, sui grandi bastimenti di “Marafuera”, era l’emblema dei nostromi di vaglia. Il giovane marinaio di “prima” diventò così capo equipaggio nel corso di una tempesta oceanica. Quando il bastimento, assai malconcio dai temporali, ebbe finito la discarica a Genova, venne rimorchiato a Portofino perché bisognevole di riparazioni. E come queste saranno lunghe, Vittorio Emanuele Bozzo, pur sapendo l’improba fatica alla quale andrà incontro, si iscrive al secondo anno del Nautico, che allora era a Recco. E per mesi e mesi, con la pioggia, col freddo e perfino con il nevischio, le rupestri stradette che da Portofino recano a Camogli, videro ogni mattino un gagliardo giovanotto scendere l’erta del monte col rotolo dei quaderni e delle carte nautiche. Partiva che era ancora notte, munito di una vecchia lanterna di bordo e non mancò mai alle lezioni. Mai. […] Il preside Prof. Lazzaro Bertolotto e il Prof. Marchio, commossi da siffatta costanza, cercavano d’interrogarlo per il primo, acciocché potesse riprendere la via del ritorno prima di notte.
Quando finì l’anno nautico il bastimento era ben carenato e riprese il mare. Una campagna per tutti gli Oceani durata 37 mesi. Al ritorno Vittorio E. Bozzo ottiene lo sbarco per poter frequentare l’ultimo anno di nautica nell’istituto che, nel frattempo, era stato fondato a Camogli grazie ai vecchi e lungimiranti Armatori camogliesi. Promosso Capitano, riprende immediatamente il mare per viaggi di “Rangoon e Macassar”.
Nota di Schiaffino : la descrizione di Gio Bono Ferrari continua menzionando il grande desiderio di Cap. Vittorio di diventare armatore. Una simile aspirazione l’aveva anche il suo futuro cognato, il Cap. Giuseppe Mortola detto il Sanrocchino. L’unione familiare fra i due è avvenuta con “doppio “ legame: Vittorio E.Bozzo sposò la sorella del Sanrocchino, Maria Rosa Mortola, detta Marinin, nell’anno 1890, ed il Sanrocchino, l’anno successivo,sposò la sorella di suo cognato, Adele Bozzo. Questi due capitani divennero, con l’acquisto del brigantino a palo NOSTRA SIGNORA DEL SACRO CUORE, armatori.
I due scrittori Gio Bono Ferrari e Tommaso Gropallo hanno indicato in modo diverso la proprietà del veliero. Secondo G.B.Ferrari la proprietà era di Vittorin mentre, secondo Gropallo, l’armatore era il Sanrocchin. Formalmente, nel Registro Italiano navale del 1890, risulta armatore Giuseppe Mortola. Tuttavia, essendo i due capitani divenuti cognati, si può immaginare che anche Vittorin avesse caratura sulla nave. […] La società armatoriale fu da pari a pari. Il cognato Capitan Mortola accudiva lo “ scagno” di Genova, attento ai noli ed ai cambiamenti dei traffici. Capitan Bozzo era a bordo, passando da un oceano all’altro. La tenacia e la bella caparbietà di queti due camogliesi creò a poco a poco una vera flotta velica, forse la più numerosa di quei tempi.[…] Capitan Bozzo era quasi sempre all’estero. A Londra, per esempio, lasciava provvisoriamente il comando per correre ad Anversa ed assistere l’armamento di un altro. E se occorreva, faceva una corsa a Bordeaux ove era arrivato il MARIA MADRE con un carico di zucchero cubano. Così per anni. Campagna del Transval, guerra inglese contro i nobili Boeri, intensificazione dei traffici marittimi e aumento di potenza della flotta camogliese. […] Una flotta di grandi corsieri del mare, che dava pane e lavoro a centinaia di famiglie marinaresche; una flotta imponente e veramente omogenea. La grande guerra segnò la condanna di questi stupendi alcioni camogliesi. La prima nave ad essere silurata, nel 1915, fu la nave camogliese SARDOMENE.[…] Quando la guerra ebbe fine, la bella squadra in ferro dei camogliesi non esisteva più. Il capitano Vittorio Emanuele Bozzo avrebbe avuto il diritto di ritirarsi dall’armamento per godersi almeno un po’ di meritato riposo. Ma v’erano a spasso tanti suoi vecchi e fedeli marinai, i quali aspettavano da tempo un imbarco che significava per loro pane e lavoro. Il grande cuore di capitan Bozzo obbedì al richiamo. Ed, in unione del capitan Luigi Mortola, armò e fece ancora navigare una flotta di “cargo”, che rappresentavano più di 60.000 tonn. di registro. Così fu, fin quasi alla vigilia della sua dipartita: ora egli riposa nell’ombra accogliente dei grandi cipressi di Migliano, in mezzo ai suoi tanti capitani, ai suoi nostromi ed ai suoi fidi marinai. Davanti a quello stupendo mare di Liguria che, a mane e a sera, porterà a lui ed ai suoi Compagni il saluto e le misteriose parole dei silurati della EURASIA, del SARDOMENE  e del COMBERMERE >.

SARDOMENE

SARDOMENE fu in ordine di tempo l’ultimo acquisto del Sanrocchin e del Torrixan. Non aveva pretese di velocità ed al pari di BANCHETTO, OLONA, MINCIO e RENO, proveniva dalla flotta dei Fernie di Liverpool.
Scafo in ferro con tra alberi, fu costruita a Southampton, nel maggio del 1882, nei cantieri Oswald Nordaunt.
Tipo : “Fully rigged ship” che, nella terminologia ligure ed italiana,  significa “Nave”, cioè un bastimento a tre alberi attrezzati a vele quadre. Solo la mezzana monta la vela aurica della randa e controranda. Il bompresso inferisce fiocchi e tra gli alberi sono montati stralli.
Stazza 1942 Tons; lunghezza 269 piedi; larghezza 39,6 piedi; puntale 21,08 piedi
Fu acquistata nel 1910 al prezzo di Lire Sterline 2.800.

Eight-Hour Movement
(da Tommaso Gropallo)

< Rimase noto, sindacalmente parlando, perché fu proprio nella sua stiva n.1 che durante la discarica a Melbourne, alcuni operai lanciarono l’idea della giornata di otto ore, reclamandola naturalmente. Quindi per lungo tempo i vessilli delle associazioni operaie australiane recarono l’immagine del SARDOMENE sotto vela >
In realtà’ Eight-Hour Movement (alias 40-Hour week Movement, alias Short-time Movement) nato in Inghilterra agli inizi dell’800, arrivò in Australia nella metà dello stesso secolo. Il 21 aprile del 1856 ci fu a Melbourne una grande marcia verso il Parlamento dello Stato del Victoria. La marcia ebbe un esito positivo ma le 8 ore non furono estese a tutte le categorie di lavoratori. Gli stivatori e portuali di Melbourne continuarono a protestare, spesso scioperando, e bloccando le operazioni delle navi. Il SARDOMENE incappò, nel 1914, in una di queste lunghe proteste dei portuali che bloccarono la nave e la presero a simbolo per la loro ennesima protesta.
Solo nel 1916 lo Stato del Victoria accolse le rivendicazioni dei lavoratori. A livello nazionale Eight-Hour issue fu approvata soltanto  il 1.1.1948.
Per la cronaca va detto che la marcia iniziata il 21 aprile del 1856 continuò, ogni anno, alla stessa data, fino al 1951, quando la manifestazione fu unificata alle celebrazioni della Festa del Lavoro. A Melbourne, nel 1903, era già stato eretto un gigantesco Monumento dedicato al  Eight-Hour Movement, una gigantesca colonna sovrastata da un Globo su cui spiccano tre numeri uguali : 888, che significano : 8 hours’ labour, 8 hours recreation, 8 hours’ rest.

Sacrificio sul mare
( da Tommaso Gropallo Romanzo della Vela, Ed.Mursia 1973)

“Ebbe la marineria a vela in destino l’offrire in guerra il primo olocausto di uomini e di navi.
Fu SARDOMENE ed il suo equipaggio. Diretto da Bumbury il 21 febbraio 1915 a Queenstown per ordini, dopo 130 giorni di mare bordeggiava dinnanzi alla baia di Bantry (Irlanda) quando inaspettatamente il sommergibile U-24 gli scoccò un siluro.
Esplosione, sbandamento a dritta. All’ordine < lance in mare> l’equipaggio obbedì con calma e disciplina. Il Comandante Bianchi tuttavia volle salvare le carte di bordo ed i denari e ritornò nella sua cabina. Ma non fece in tempo ad uscire in coperta. SARDOMENE fulmineamente si impennò prora in alto e giù nell’abisso.
I due ufficiali e tutti dell’equipaggio si gettarono in mare, tentando di salvarsi.
SARDOMENE scomparso, i superstiti aggrappati ai rottami si contarono: il Bianchi e nove marinai mancavano, primi italiani morti per la Patria.
Il fatto destò in Italia viva emozione”.
 
La testimonianza di un sopravvissuto

Il Comandante Pro Schiaffino nel suo  quaderno n.13 del Museo Marinaro Gio Bono Ferrari di Camogli (Gli Armatori di San Rocco di Camogli ) riporta :
< Può essere interessante riportare, inoltre, come i particolari dell’affondamento siano stati riferiti al Corrispondente londinese de Corriere della Sera  dal Secondo Ufficiale di bordo, Signor Alfredo Noris, miracolosamente scampato . Questo viaggio del SARDOMENE, narra il  Noris, era proceduto calmo e senza eventi, finché il veliero giunse in vicinanza degli scogli di Fastenet, a circa 4 miglia a sud-ovest del capo Clear. Mentre il veliero passava giusto al nord di quel faro, fu avvicinato da una nave inglese in servizio di esplorazione che ci annunziò la presenza di sommergibili tedeschi nelle vicinanze, avvisandoci di stare all’erta. Quindi la nave ci lasciò, ma diede istruzione ad un’altra nave esploratrice di accompagnarci fino a una distanza specificata. Era circa l'una di notte di giovedì quando avvistai un periscopio a circa trecento metri a sinistra della prua: l'impressione che tutti ne avemmo fu che il sommergibile si allontanasse dal nostro veliero, che evidentemente non formava un bersaglio che ripagasse la spesa del siluro. Ma fu probabilmente la bandiera italiana che lo invogliò a farci la festa. Fatto è che all'improvviso il sommergibile si voltò, lanciando un siluro verso di noi. Non era neppure il caso di evitarlo: il veliero era impotente a manovrare e poi la distanza era cosi breve che si può dire che avemmo appena il tempo di vedere in acqua il siluro che già esso ci colpiva giusto al centro.  
La scossa sembrò sollevare la nostra nave fuori dall'acqua. L'esplosione fu terribile: abbatté di colpo gli alberi, le vele, le sartie, spogliò per cosi dire il veliero facendolo inclinare fortemente a sinistra. Per l'urto due marinai stranieri furono sbalzati in acqua dal castello di prua: uno affogò e l'altro fu salvato.
Il nostromo, l' irlandese O' Neill, trovantesi pure nel castello di prua, si diresse verso la scialuppa di destra. Passando per il ponte, vidi due marinai, Francesco Orteghe e un altro, gravemente feriti. Capimmo che non ci sarebbe stato il tempo di lanciare le scialuppe. Venne dato l'ordine di afferrarsi ai salvagente e di gettarsi in acqua: ognuno provvedesse a sé stesso e Dio per tutti. Fu allora che vidi per l'ultima volta il comandante. Il capitano Bianchi forse non voleva lasciare la nave senza prima aver messo in salvo qualche carta preziosa o, chi sa, la cassa: entrò nella sua cabina, ma non ne usci più! Noi balzammo in acqua: due minuti dopo il SARDOMENE colò a picco con gran risucchio, trascinando con sé quanti non erano così lontani da evitare il risucchio stesso. Contammo undici cadaveri in acqua e tanti ne vennero raccolti dalla nave di scorta affrettatasi in nostro soccorso. Due italiani erano stati uccisi dalla esplosione: il cuoco Giorgio Valle e il marinaio Luigi Molla. Fra gli scampati, oltre a me e a sei marinai stranieri, lo spezzino Ernesto Capetta e il napoletano Salvatore Molla.

Conclusione della Storia del SARDOMENE
( Tommaso Gropallo, Romanzo della Vela, Ed. Mursia 1973)

“Trascorse del tempo e vennero gli anni tragici del 1916 e 1917, quando la guerra al traffico mercantile venne portata ad una crudele esasperazione. La nostra marineria a vela pagò duramente, sebbene non fosse da credersi che i velieri venissero silurati senza preavviso. Al contrario, venivano fermati e poi affondati o con il cannone o con mine, risparmiandosi così i siluri, uno dei quali poteva valere assai più di un veliero.
Le rive ed i flutti del Mediterraneo risuonarono ben presto dell’eco delle cannonate che distrussero il meglio della nostra flotta di grandi corsieri della vela. E le rotte da Gibilterra al mar Ligure videro queste navi discendere nelle verdi tenebre. La tecnica della distruzione era sempre la stessa.  Il sommergibile emergeva, segnalando di arrestarsi. Artiglierie a bordo non ve ne furono mai, onde non rimaneva che ottemperare agli ordini. Saliva a bordo un ufficiale tedesco con qualche marinaio armato, si chiedevano le carte, si requisiva qualche genere alimentare specie fiaschi di vino, se vi erano, e si ordinava all’equipaggio di calare le lance in mare ed allontanarsi. Quindi mine ai boccaporti; le micce venivano lasciate pendere fuori delle murate e accese quando i tedeschi si allontanavano. Poi le mine squarciavano il bastimento che affondava tela al vento, il che produceva un lugubre rumore, quasi un terrorizzato lamento. L’effetto del medesimo se in luogo di mine si adoperava il cannone. In ogni caso dalle lance e dal sommergibile italiani e tedeschi assistevano all’affondamento e lo spettacolo era doloroso per tutti; per i tedeschi poteva anche essere un segno premonitore del prossimo affondamento, che per un sommergibile significava la morte di tutto l’equipaggio ed una morte atroce per giunta “.
Il sommergibile assassino

Si trattava dell’U-Boat SM U-24, della Marina Imperiale Germanica, al comando del Kpt lt Rudolf Schneider  conosciuto per la sua fama di “ affondatore” col nome RUDI.
L’U-24  continuò a seminare morte e distruzione per tutta la durata della guerra e, al comando del Kpt lt Walter Remy, si arrese al nemico soltanto il 22 novembre del 1918. Aveva affondato 34 navi nemiche per un totale di 106.122 Grt, danneggiato 3 mercantili, catturato  un altro mercantile e affondato la Corazzata  Britannica HMS FORMIDABLE di 15.250 tons.

Le navi perdute

Alla fine della Grande Guerra la Flotta Mercantile italiana aveva perso oltre un milione di tonnellate di Stazza Lorda e, fra le flotte alleate, era quella che aveva subito maggiori perdite in proporzione alla consistenza iniziale : il 45% contro il 39% della Gran Bretagna, il 35% della Francia, 20% degli U.S.A. Si trattava di  425 unità di cui ben 53 appartenenti alla Marina Velica. (*)

(*)CFR : Pier Paolo Preti. Confitarma. Cent’anni per mare.
(*)CFR: Flavio Serafini  Uomini e bastimenti italiani di CAPO HORN. Ed.Gribaudo 2005.

Considerazioni finali con riguardo all'attualità marinara ( mortificata )
di Tobia Costagliola

In questo scritto si è appena accennato alla storia di alcuni Capitani che rappresentano solo una parte infinitesimale della lunga e gloriosa schiera di Capitani umili, modesti e pieni di ardimento, che hanno, nei secoli, fatto onore alla nostra Marineria portando i vessilli delle Repubbliche Marinare, dei Principati e Ducati, dei Regni e della Repubblica Italiana, attraverso gli oceani infiniti verso i lidi più lontani. ( Avete notato la trafila seguita dai giovani Mortola e Bozzo ? Altro che STCW e corsi di aggiornamento…).
Sono migliaia le storie dei Capitani, prima di Coperta e, in epoca moderna, anche  Capitani  di Macchina, riportate nei copiosi e insostituibili  volumi di  Gio Bono Ferrari, Tommaso Gropallo, Lamberto Radogna, Mario Taddei, Pro Schiaffino, Flavio Serafini, Ernani Andreatta ecc., ecc. Sono storie che testimoniano la grandezza di uomini  che perpetuano la gloriosa tradizione della Marineria di tutti i tempi.  
Ora, dopo tanta gloria, ci tocca assistere alla dissacrazione di questa storia e di queste tradizioni da parte di un Ministero che non ha nulla a che vedere col mare e che, caratterizzato da quella presunzione e arroganza di chi ignora la Storia e le tradizioni, ha pensato, indelicatamente e senza alcuna logica motivazione, di risolvere i problemi della marineria abolendo il titolo di Capitano di Lungo Corso e Capitano di Macchina, male interpretando le sollecitazioni che ci provengono dagli organismi sovrannazionali che richiedono all’Italia ben altro…  
Tutto ciò è accaduto tra la noncuranza ed i silenzio colpevole anche di altre autorevoli istituzioni legate alla Marineria  che avrebbero potuto far sentire la loro voce a difesa dei simboli e delle tradizioni su menzionate.
Ho assistito stamane ad una cerimonia commemorativa di Garibaldi, in Piazza del Popolo a Ravenna. Tutti sappiamo che Garibaldi era un Capitano di Lungo Corso ancor prima di diventare Generale e Senatore del Regno. Come potremmo definirlo secondo le novità apportate dal Ministero dei Trasporti ? Mah! Io direi : Conduttore di 1a Classe di mezzo logistico-navale, sprovvisto di propulsione, che non rientra nelle tipologie conosciute e classificate da questo Ministero.

Tobia Costagliola
Ravenna, 31 maggio 2015

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TECNICO NAVALE E FORMATORE DI NAVIGANTI

Una limpida figura di educatore: il Prof. Ing. Guglielmo Levi.

Il 26 Maggio 1982 si addormentò nel sonno in Montecatini , ma la figura del prof. Guglielmo Levi è ancora ricordata con affetto dai suoi familiari, allievi e professori. Riceviamo dal figlio ing. Sergio Levi,  cui ci lega una lunga amicizia, una biografia del padre che conoscemmo molto bene perchè è stato anche il nostro Preside all'Istituto Nautico San Giorgio. Ogni anno in ottobre la sua figura viene in luce con la consegna della Targa Guglielmo Levi al miglior Costruttore Navale del Nautico San Giorgio nel corso di una solenne cerimonia a Palazzo San Giorgio. Il mitico zio Willy fu un precursore, progettista navale, un uomo moderno.
Desideriamo qui ricordare i punti salienti della sua operosa vita di educatore affinché non vada perso il suo pensiero e quanto fece per la scuola.

Guglielmo Levi nacque a Genova il 10 Giugno 1899 da famiglia ebraica che ivi si era trasferita nei primi anni dell’Ottocento.
Il padre Priamo era spedizioniere in porto con “scagno”, come si diceva allora, in  Vico Denegri 3 ed era anche rappresentante di una industria vinaria di Marsala.
Guglielmo aveva un fratello, Guido che fu segretario ai Cantieri Ansaldo e morì purtroppo molto giovane con una promettente carriera interrotta e due sorelle Renata ed Emilia ( quest’ultima morì ad Auschwitz dove fu deportata durante la seconda guerra mondiale ).
La famiglia non navigava certamente nell’oro e con grandi sacrifici Guglielmo riuscì a completare brillantemente gli studi prima diplomandosi nel 1916 macchinista navale e poi nel 1921 Ingegnere navale e meccanico alla R. Scuola  Superiore di Ingegneria Navale ( nel periodo finale della Grande Guerra prestò anche servizio militare quale sottotenente del Genio e fu uno dei ragazzi del 99 ).
Dopo la grande Guerra iniziò la sua attività tecnica nel campo navale in stabilimenti meccanico navali e  contemporaneamente la carriera di docente nel campo dell’insegnamento di materie tecniche nell’Istituto Industriale Galilei e successivamente nell’Istituto Nautico S. Giorgio di Genova.
Fu questa ultima attività che dovette segnare tutta la sua vita futura, percorrendo una rapidissima carriera di insegnamento di materie quali fisica, elettrotecnica e macchine nell’Istituto Nautico di Trieste dove insegnò 1924 fino al 1935 quando, vincendo un concorso nazionale diventò Preside ( uno dei più giovani in Italia ) dell’ Istituto Nautico di Livorno, fino all’autunno del 1938 quando a causa delle inique leggi razziali dovette lasciare l’insegnamento e fu messo in pensione all’età di 39 anni !
L’attività di Guglielmo Levi fu sempre molteplice ed oltre all’insegnamento ed alle commissioni di esami di cui fece sempre parte, fu perito del Registro Navale per il servizio di visite su Navi e Galleggianti e per il servizio di stazzatura  ( in quegli anni entravano in esercizio le grandi navi passeggeri Saturnia, Vulcania, Conte di Savoia  che hanno la sua firma nei calcoli di stazza ) , perito del Tribunale e fu direttore della Scuola per maestranze del Cantiere Navale Orlando di Livorno.
Nel frattempo sposò Irma Foa da cui ebbe due figli Sergio e Claudio.
Il periodo più triste della sua vita iniziò nel 1938 quando dovette lasciare la sua amata scuola e tutti gli incarichi a causa delle leggi razziali e fu messo in pensione all’età di 39 anni !
Ritornò a Genova dove a causa della lunga assenza era meno noto e meno in vista, ma dove invece aveva amici fidati ed diede inizio ad una attività di progettista, seppure clandestinamente, presso i Cantieri del Mediterraneo di proprietà dell’Armatore Ignazio Messina, che in questo buio periodo si rivelò suo grande amico e benefattore e gli permise di vivere in modo dignitoso con la sua famiglia.
Cominciò così un lungo periodo di persecuzione da parte dell’autorità politica che culminò nel biennio 1944-45 quando dovette insieme alla sua famiglia darsi alla macchia per evitare la deportazione in Germania,  riuscendo a rimanere nascosto sui monti della Liguria  insieme alla moglie ed ai figli  con l’ausilio di documenti falsi avuti da amici del Comitato di Liberazione.
La vita in quegli anni fu molto dura ma Guglielmo Levi non si perse mai di animo riuscì a superare con grande dignità e sicurezza  le traversie arrivando al periodo successivo alla Liberazione più forte di prima e pronto a  riversare sulla Scuola tutta la sua passione e la sua esperienza.
Fu reintegrato alla direzione dell’Istituto Nautico S. Giorgio nel 1945 dove rimase ininterrottamente fino alla pensione nel 1969 impegnandosi  a tempo pieno dopo avere lasciato negli anni 50 la attività di progettista presso la Ignazio Messina ( la prima nave Italiana che uscì dal porto di Genova nel maggio 1945 il “Risveglio II” della Ignazio Messina fu realizzata mercè la propria attività.  
In questi anni più di 3.400 allievi si diplomarono ed ancora adesso molti di essi ricordano con affetto il mitico Zio Willy,  anche se presero da Lui qualche scappellotto e qualche rimbrotto per le marachelle che commettevano.
Lui fece molto per i suoi allievi, li difese sempre nei confronti degli altri Istituti quando c’era qualche traversia e quando dovevano trovare imbarchi presso gli armatori si interessava in prima persona ; ancora adesso vengono ricordate le gite scolastiche con traversate sulle più prestigiose navi dell’epoca che con tante passione organizzava.
L’Istituto Nautico fu da Lui dotato di una moderna officina meccanica e di imbarcazioni per le esercitazioni che furono le prime in una sede provvisoria nel Porto Antico di Genova, antesignana del futuro Istituto.
Con grande passione si dedicò alle attività collaterali scolastiche nel Consorzio dell’Istruzione Tecnica, nell’Istituto per osservatori Radar che  contribuì a fondare nel 1962, nei corsi professionali per maestranze marittime ed incarichi vari in commissioni di studio e per la progettazione delle attuali navi scuola e per molti anni svolse pure attività di perito dal 1950 al 1964 per conto della Capitaneria di porto per il servizio di sicurezza e degasificazione delle navi.
La poliedricità della sua azione, la multiforme espressione delle sue intuizioni, quel prorompere di vita che fu di sprone per tanti suoi professori ed allievi che oggi lo ricordano con  rimpianto sono tutti i segni di una personalità ricca, complessa, aperta che tanto ha prodotto come insegnamento e riferimento.
Dell’uomo che tanto imparò dalla gente del mare resta una immagine profondamente segnata dalla coerenza, dalla fierezza, dal coraggio di porre e portare in ogni circostanza di fronte  a chiunque la forza dei propri convincimenti.
Levi parlò sempre chiaro, con fermezza senza adulazione con quella durezza ed angolosità che sono proprie dei marinai; quel suo parlare chiaro e forte nel tono e nei termini anche se non sempre gli procurarono consenso e simpatia dai potenti, sono un grande insegnamento e ancor più in questo nostro tempo un messaggio di comportamento carico di grande attualità.
Il tecnico navale e l’educatore di naviganti sono due aspetti della medesima sintesi e negli anni 50 intuiva che sulle navi moderne l’elettricità e l’automazione avrebbero presto o tardi coinvolta gran parte della professionalità degli ufficiali delle navi.
Tutto questo movimento intorno alla professionalità che cambiava, tutta questa attenzione intorno ai veri problemi dell’uomo del mare anticipava quelle tematiche e quelle operazioni intorno alla quale ancora oggi si discute. Tutte queste idee, intuizioni esigenze emergenti in Levi diventavano azione, rapporto con le persone, organizzazione del lavoro, scelta di collaboratori, definizione di programmi, progetti di intervento.
Non è infrequente per chi va per mare trovare in tutti i settori della nave ed a tutti i livelli di responsabilità persone e personaggi che dalla sua organizzazione trassero istruzione, insegnamento e addestramento.
Nei lontani anni ’50, Levi aveva capito che il navigante oltre ad essere uomo di mare doveva essere un tecnico ad elevato livello di specializzazione ed  aveva intuito che l’adeguamento della professionalità era un fatto che coinvolgeva tutti i livelli di responsabilità ed azione di quanti sono chiamati ad operare con la nave.
Anche la vita pubblica di Levi fu assai intensa; infatti fu iscritto al Partito Socialista e dopo i fatti di Ungheria aderì al Partito Socialista Democratico e fu fino alla sua morte presidente di seggio in tutte le tornate di elezioni.  
Fu sempre un assertore convinto del cremazionismo ed in vita acquistò un’urna dove sono le sue ceneri e quelli della moglie  al primo piano del Tempio Crematorio di Staglieno  e volle che vi venisse scritto : dedicò tutta la sua vita alla famiglia ed alla scuola.
E’ così che lo ricordano con rimpianto i suoi ex allievi e familiari dopo tanti anni dalla sua scomparsa.

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MARINA DI VARAZZE: LA MUSICA DI ZIBBA, SPORT E CULTURA.
TUTTI GLI EVENTI DI UN’ESTATE DA VIVERE TRA MARE E CITTA’.

Apertura di stagione il 20 giugno in grande stile per la Marina di Varazze. Per l'estate 2015 un ricco programma di eventi e di intrattenimento: occasioni uniche per godersi il porto e la città, come un grande spettacolo open air.
Fiore all'occhiello di un calendario 2015 che ruota intorno ad appuntamenti di mare e cultura, è la programmazione concertistica, quest'anno curata da due grandi nomi della musica italiana e cari al territorio varazzino: il cantautore Zibba, direttore artistico della rassegna live “musica d'autore” e il maestro Giancarlo De Lorenzo, curatore dei concerti di musica classica. Sotto la loro direzione, calcheranno la scena alla Marina di Varazze, personaggi del calibro della statunitense Jolie Holland, Eugenio Finardi, Niccolò Fabi e direttori d'orchestra di fama mondiale.
Oltre alla musica, la vela sarà grande protagonista in Marina, con veleggiate per tutte le età e competizioni stagionali; tra le tante, il “Trofeo Marina di Varazze” il circuito “E Vie Do Ma”. Ancora, intrattenimento live proposto dal bar ristorante Boma, artigiani in fiera nei weekend, esposizioni di yachts, moto d'epoca e tanto altro da fare e da vedere. Con una programmazione così, l'estate sembra non finire mai alla Marina di Varazze. Almeno, fino ad ottobre.
info@marinadivarazze.it  www.marinadivarazze.it


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 Viaggio nell’Archivio delle Indie – Siviglia

  Juan de la Cosa

  ( segue da D.L. News 14 2015)

Viaggi con Cristoforo Colombo alle Indie – Primo viaggio

Nel 1492 Juan de la Cosa partecipò  al primo viaggio di Cristoforo Colombo verso le Indie a bordo della propria nave, che, secondo gli storici, fu ribattezzata Santa Maria per l’occasione. Aveva il grado di “ Maestre”, mentre il Comandante delle tre navi era Cristoforo Colombo. La nave naufragò  nella notte tra il 24 ed il 25 di dicembre dello stesso anno di fronte alle coste di Haiti. Il diario giornaliero scritto da Bartolomé de la Casas, certamente seguendo quanto scritto da Cristoforo Colombo, accusa personalmente Juan de la Cosa del naufragio, dicendo che ciò  accadde durante il suo turno di guardia e che, inoltre, fuggì invece di prestar soccorso alla nave.
Martedì 25 Dicembre, Natale
….Volle Nostro Signore  che, a mezzanotte, come avevano visto  l’Ammiraglio andare a riposarsi e che il mare era calmo e piatto, tutti lo seguirono. Lasciò il comando in mano a quel giovane,  ma, le correnti impetuose portarono la nave sopra uno di quei banchi rocciosi. Il mozzo diede grida sentendo le quali l’Ammiraglio si alzò, ma nessuno s’era accorto che fossero rimasti incagliati.
Dopo, il Maestre  della nave Juan de la Cosa, in turno di guardia, salì sul ponte e l’Ammiraglio disse a lui ed agli altri che calassero un battello , prendessero un’ancora e la gettassero a poppa.
Il Maestre con altri saltarono sul battello, e l’Ammiraglio pensava che facessero ciò che lui aveva loro ordinato. Essi invece si curarono solo di fuggire.
Mercoledì 26 di Dicembre
Se non fosse stato per il tradimento del Maestre e della gente che lo seguì – persone che erano quasi tutta di Palos- di non gettare l’ancora a poppa, come l’Ammiraglio aveva comandato, la Santa Maria si sarebbe salvata.
Diario di Cristoforo Colombo . Edizionefacsimile di Jesus Varela Marcos
Tuttavia nel 1493 Juan de la Cosa ricevette un riconoscimento economico da parte dei Re Cattolici per l’affondamento della sua nave nel primo viaggio verso le Indie.
Gli si riconosceva il diritto di trasportare duecento misure di frumento dall’Andalusia sino a Guipuzcoa o Vizcaya senza pagare alcuna tassa nei nove mesi seguenti. Al cessare del contratto, nel febbraio del 1494, l’ordine fu rinnovato con gli stessi accordi. Questi documenti, che parlano di Juan de la Cosa elogiandolo per gli ”ottimi servigi che ci avete reso”, fanno riflettere gli storici e cioè, che in realtà, Juan de la Cosa non ebbe alcuna colpa del
naufragio della Santa Maria, contrariamente a quanto afferma Cristoforo Colombo nel suo Diario.

(ricerche e traduzione dallo spagnolo di Ugo Dodero)
  (Segue nel prossimo DL News )
 
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LE NOTE DI CARLA MANGINI

JOHN KEATS, (Londra 1795 - Roma 1821)
 
  MARE

…“Si sentono eterni bisbigli attorno alle desolate spiagge e con il suo respiro potente inonda  tutte le grotte…
Spesso è così gentile che la sua quiete  non muove per giorni e giorni una piccola conchiglia caduta, nemmeno mentre  infuriano i  liberi venti di una buia  tempesta.
Tu che hai le pupille stanche ed irritate, nutrile della vastità del mare e  tu che hai le orecchie frastornate da rumori volgari o nutrite con troppo leggiadre melodie siedi sulla soglia  di una  grotta antica ed ascolta con meraviglia:  è come se si udisse  il coro delle ninfe del mare.”



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